La visione che avevo della Cina dal “nostro” lato del pianeta, era percepita dalla fessura stretta che si apre tra i prodotti di consumo a basso costo, accatastati sugli scaffali stracolmi, dei sempre più numerosi negozietti, al cui interno, ad accogliere l’avventore, c’è sempre del personale, che, con annoiato disinteresse, fornisce indicazioni incomprensibili, facendolo smarrire tra le strette corsie dei labirintici empori; il mio immaginario si confondeva tra le decorazioni eccessive dei ristorantini all you can eat, e la dicitura “Made in China” che si trova su gran parte delle etichette dei prodotti dozzinali delle multinazionali. La narrazione di un paese iperindustrializzato, con una politica commerciale aggressiva mi risultava infatti stridente con la narrazione anacronistica di tranquilli contadini e pescatori che praticano arti marziali e bevono té.
Ma sinceramente, per dirla con tutta onestà e in parole povere, a tutto ciò, non facevo nemmeno caso. Infatti queste contraddizioni, che lo si voglia o no, fanno ormai parte del nostro quotidiano, sappiamo che ovunque ci troviamo, se ci serve all’improvviso un qualsiasi prodotto, c’è sempre un emporio, gestito da un negoziante cinese, pronto a vendercelo a un prezzo vantaggioso, anche nei giorni festivi; o che se vogliamo mangiare qualcosa fuori senza spendere troppo, possiamo scegliere tra la pizzeria, il McDonald’s… e il ristorante cinese. Allo stesso modo accettiamo le illustrazioni dei paesaggi tradizionali cinesi di colline che si stagliano su un indistinto paesaggio nebbioso, le immagini in bianco e nero della rivoluzione di Mao, e fotografie di città ipertecnologiche dominate da insegne luminose e grattacieli, cose slegate e inconciliabili, ma allo stesso tempo a cui siamo involontariamente assuefatti.
Entrare in questo mondo è stato per me un’occasione di incontro con una realtà in cui tutte queste narrazioni non si sono rivelate false, ma che, cosa che ho trovato essere sorprendente, non sono in contraddizione tra loro.
Ho avuto modo di andare in Cina grazie all’ingaggio da parte dell’Accademia di Belle Arti, Villa Dèi Romani, per uno Scambio Culturale, nella città di Qingdao (una cittadina di ben 8 milioni di abitanti … contro i 35 milioni della “vicina” Pechino), presso l’International School of Qingdao (la scuola numero 6) dove ho tenuto, insieme a mia moglie Milena, un corso intensivo di nove giorni rivolto agli studenti della scuola superiore per il progetto di cooperazione sino-italiana, un’esperienza che non solo ci ha avvicinati a una cultura diversa, ma che ha sancito un legame profondo con questo paese facendoci scoprire inaspettate particolarità e stimolando nuove riflessioni.
La scuola numero sei è un enorme campus dove gli studenti vivono per tutto il periodo degli studi, con edifici avveneristici collegati da lunghi ponteggi e spazi architettonici disorientanti, come è disorientante tutta l’architettura di Qingdao, che in molti edifici ha mantenuto le caratteristiche nordeuropee, essendo stata una colonia della Germania, da cui ha ereditato la celebre birra Tsingtao, ma il suo panorama comprende anche infiniti, altissimi grattacieli, ed elementi decorativi tradizionali della cultura cinese come draghi e bassorilievi dorati.
Quello che salta subito all’occhio è la grande educazione e disciplina degli studenti, i cui elaborati rivelano una tecnica meticolosa del disegno e della pittura, che vengono applicate in modo accurato, con grande attenzione tecnica, negli studi di nature morte e paesaggi, tutti molto simili tra di loro, anche se realizzati da allievi differenti.
Questi aspetti, che ad un primo approccio possono sembrare omologanti, di meticolosità tecnica e disciplina, sono visibili in ogni aspetto della realtà quotidiana cinese che ho avuto modo di riscontrare nel mio viaggio. Tutto è pensato per dare a ogni cittadino uguali possibilità e opportunità, secondo le proprie capacità e predisposizioni, applicando abitudini che comprendono ogni singolo aspetto della vita quotidiana, anche il più apparentemente insignificante, cercando di eliminare ogni possibilità di “errore”. La percezione di un occidentale – soprattutto la nostra dell’area mediterranea – è che venga condizionata e compromessa la personale interpretazione della realtà, ma un occhio più attento, e l’esperienza diretta di questa società, rivelano che proprio nella collettività si trova un vero e proprio punto cardine di forza individuale, che può fare affidamento su una società coesa con regole affidabili. L’innovazione tecnologica, incredibilmente sviluppata, ha apportato un aiuto importante in questo carattere di vita comune che appartiene tanto al loro presente, quanto al loro passato, e che è disciplinato da un controllo istituzionale capillare.
Ciò si può riscontrare evidentemente proprio nella vita sociale prendendo in esame aspetti molto concreti: la piccola criminalità è stata quasi azzerata grazie al controllo da remoto di telecamere presenti in ogni angolo della città, come anche l’evasione fiscale: infatti non solo sono quasi caduti in disuso i soldi liquidi, ma anche le carte di credito, seppur presenti nei portafogli, sono state letteralmente soppiantate dalla app WeChat, il cui utilizzo – oltre ad essere una normale app per comunicare al pari di WhatsApp, e un social network dove si possono pubblicare post come ad esempio Facebook (vietato in Cina) – è usata anche e soprattutto per pagare negli esercizi commerciali e scambiare soldi tra privati, per ordinare al tavolo di un ristorante o il delivery, quest’ultima una delle attività più sviluppate nelle grandi metropoli, che sicuramente è anche degna di nota.
Per noi, che viviamo in una grande metropoli, non è difficile immaginare una città dove si sente continuamente il suono di clacson di automobili, mentre che queste siano ordinatissime e rispettose delle regole della strada in modo irreprensibile, si! Infatti proprio grazie al già citato sistema di sorveglianza capillare delle telecamere, capaci di controllare perfino se si indossa la cintura di sicurezza, è praticamente impossibile infrangere qualsiasi regola senza incorrere in una sanzione. Lo scrupoloso automobilista (ma anche il pedone) deve però confrontarsi con il fenomeno – appunto – del delivery: motorini elettrici sfrecciano a tutta velocità per la città senza alcuna regola, non solo si può vederli ad ogni incrocio passare con il rosso, ma anche viaggiare contromano su tangenziali e autostrade, e cosa ancora più curiosa, attraversare a tutta velocità sulle strisce pedonali o suonare sul marciapiede per far spostare i pedoni, i quali, abituati o rassegnati, senza affatto risentirsi, semplicemente gli fanno strada. Tutti ordinano il delivery, negli uffici, negli hotel e nella stessa scuola dove tenevamo il corso, si vedevano continuamente lavoratori più o meno giovani con il casco ancora in testa che lasciavano buste contenenti alimenti su tavoli e davanzali, prima di sfrecciare via, a qualsiasi ora del giorno e della notte.
La proposta gastronomica nella città in confronto alla nostra, che è già abbondante, è addirittura bulimica, le strade della città sono piene di fast food, yogurterie, ristoranti e negozi, uno accanto all’altro, dove viene offerto ogni tipo di alimento. In ogni angolo di marciapiede si trovano piccoli tre ruote con ogni sorta di cibo locale, venditori di frutta e verdura adagiate a terra su teli e cassette: l’impressione è che la città offra continuamente cibo. Malgrado ciò, le abitudini alimentari sono molto sane, come si è molto attenti a tutte quelle abitudini che riguardano la salute e l’attività fisica, anche essa legata al rapporto con la collettività di cui ne è affascinante e meravigliosa espressione (molto diversa dalla alienante e ripetitiva dimensione delle palestre occidentali).
A tal proposito mi prendo la libertà di raccontare un altro aneddoto: dopo cena io e mia moglie avevamo preso l’abitudine di passeggiare nei curatissimi giardini che costeggiano le rive di un fiume artificiale che attraversa la città. Il fresco della sera finalmente prendeva il posto della densa e calda umidità dell’aria del giorno, e finalmente potevamo godere un po’ di meritato riposo dalle lezioni e dagli impegni, passeggiando per curiosare e digerire l’ottima cena (sfatiamo falsi miti: la cucina cinese è buonissima!). Proprio in questo orario come noi, anche i cittadini del quartiere animavano la città mostrandone caratteristiche del tutto inaspettate. Nelle piazze grandi gruppi che comprendevano bambini, giovani uomini e donne e persone avanzate negli anni – insomma persone di ogni età – si riunivano per fare ginnastica al suono della musica, correre ascoltando musica, danzare la musica popolare, il suono dei clacson finalmente veniva smorzato dalla musica. Finalmente la frenesia lasciava il posto all’armonia, al piacere di stare insieme, ma non solo con le chiacchiere e il sano bivacco, bensì e soprattutto con la condivisione della cosa più importante che ci appartiene, forse l’unica di cui abbiamo veramente la responsabilità e che merita più di tutto di cura, il proprio corpo, che non è un elemento isolato dal resto, ma si muove con gli altri corpi, all’unisono, con movimenti gentili e identici, divenendo espressione di sé stesso e della collettività.






Il corso intensivo di disegno, si è rivelato un’occasione di incontro di due impostazioni culturali diverse, che oltre ad avere fornito a me stimoli interessanti, mi ha dato la possibilità di condividere con gli allievi questo incontro tra civiltà che si guardano, mantenendo ognuno la propria forte identità: l’Occidente e l’Oriente. I nostri sono due mondi complementari in continuo dialogo, una conversazione che si snoda nei millenni e che trova in sé stessa nuovi stimoli che fecondano le diverse epoche, assumendo infinite forme nelle tante manifestazioni espressive dell’Eurasia, in cui antichissime radici si intrecciano come le sinapsi di una mente in continua riflessione, arterie di strade infinite che veicolano particelle di senso in continua trasformazione, da una costa all’altra, sulle montagne e sulle vallate, nelle scuole, nelle università, nelle accademie, nei libri, nelle transizioni dei mercanti e nei dialoghi degli ambasciatori, fino a proiettarci nello spazio. Tante piccole scintille di incontri, tra discipline, visioni del mondo, idee, ma soprattutto momenti, sguardi, dialogo, vita. Ho visto negli occhi di questi giovanissimi l’energia che muove un futuro di condivisione di cui l’arte è indispensabile promotrice e memoria. Ho visto gli occhi di una civiltà rivolti con curiosità e voglia di conoscere un’altra civiltà, trasportando tutta l’aula, con il suono delle matite che strusciavano sul foglio, con il sommesso chiacchiericcio e i rumori che venivano dalla strada, nello straordinario flusso del tempo di tutta l’umanità.
